LE RIVOLTE DEL MONDO ARABO
Premesso che la politica estera italiana è pressochè fatiscente, opportunistica e farneticante, come conseguenza diretta di un capo di governo che semplicisticamente presume, basandosi sulla competenza nel mondo dei traffici e degli affari, di poter affrontare anche i complessi problemi delle relazioni internazionali e di un suo ministro degli esteri, che improvvisatosi ministro in un settore quanto mai delicato e difficile, non ha né le basi culturali né le competenze specifiche per far fronte ai suoi compiti, escludiamo dalle considerazioni che seguono qualsiasi riferimento all'Italia. Quanto accade in tutto il mondo arabo, ad eccezione della Siria che è un caso a se stante, era facilmente prevedibile. Non era infatti plausibile che i governi di Tunisia e d'Egitto,operanti di fatto sotto tutela occidentale, con una dirigenza politica spesso più preoccupata di gestire interessi e relazioni personali con ambienti europei che di risolvere i gravi problemi interni dei loro paesi,potessero reggere all'infinito senza dar luogo a contestazioni e rivolte. Ma alla caduta dei governi di Tunisia ed Egitto hanno contribuito non solo l'aggravarsi di condizioni di vita già precarie ma anche fattori di carattere più specificamente politico e culturale. Il permanere di una grave situazione di ingiustizia internazionale consistente nel non risolvere il problema della creazione di uno stato indipendente palestinese; il continuare a lasciare al governo sionista di Israele libertà di annettersi giornalmente altri territori, ha certamente ravvivato la memoria del trattato di Camp David con cui l'Egitto stipulò una pace separata con gli israeliani dissociandosi dagli altri stati arabi ed abbandonando così i palestinesi, fra cui decine di migliaia di profughi al loro destino.A ciò si aggiunga una crescente ripulsa alle ingerenze politiche e culturali dell'Occidente considerate da strati crescenti della popolazione in contrasto con la tradizione religiosa dell'Islam. Considerazioni politiche e religiose che possono permanere più o meno quiescenti in condizioni di normali, ma destinate a riemergere quando le condizioni di vita ( disponibiltà alimentari e di alloggi, disoccupazione, condizioni igieniche e sanitarie,ecc.) si aggravano senza speranza di miglioramenti, mentre la corruzione dilaga con la protezione delle classi dirigenti. Diversa è la situazione della Siria. In essa sono presenti numerose etnie e religioni; arabi siriani, arabi libanesi,arabi palestinesi, arabi iracheni, curdi, armeni; musulmani sunniti, musulmani sciiti, musulmani alawuiti, drusi, cristiani cattolici, cristiani ortodossi, cristiani protestanti, cristiani siri, cristiani siro-cattolici. E' facile comprendere come governare una popolazione così composita non sia cosa facile (basti pensare alle sanguinose lotte verificatesi altrove tra sciiti e sunniti). La Siria, terra dell'accoglienza, ha accolto gli armeni dopo il genocidio messo in atto dai turchi, ha accolto in seguito migliaia di palestinesi anch'essi fuggiti alle stragi ed alle depredazioni, ha accolto recentemente circa un milione di iracheni fuggiti a seguito dell'esportazione della democrazia nel loro Paese. Alle difficoltà intrinseche relative alla gestione dei profughi e agli altri problemi interni si aggiunge l'elevata percentuale del bilancio statale destinato alla difesa (che distoglie risorse che potrebbero essere indirizzate alle attività sociali ed a quelle produttive) come conseguenza di una preoccupante situazione internazionale. Infatti mentre gli Stati Uniti, con gli stati europei al loro seguito, hanno spesse volte minacciato la Siria definendola "stato canaglia" , perchè vuol seguire una politica senza ingerenze e condizionamenti esterni, non si è ancora voluta dare un'equa soluzione all'occupazione militare israeliana delle alture del Golan. L'arrivo di un milione di profughi iracheni ha evidentemente aggravato la situazione economica e sociale per cui è bastata la notizia delle ribellioni dei paesi del Maghreb per suscitare uno spirito d'emulazione,che come era prevedibile non avrebbe non potuto dar luogo a scontri cruenti. A questo punto il Presidente Bashar al-Hasad può tentare il recupero della situazione estromettendo dal governo personaggi arricchiti e sospetti di corruzione, (cosa ne sarebbe di certi governi europei se venissero estromessi tutti i ministri corrotti?) può attenuare la pressione dei servizi di sicurezza pur correndo il rischio di non più controllare eventuali tensioni etniche e religise, può liberare altri carcerati "politici", può migliorare gli stipendi dei dipendenti statali e dei pubblici servizi. Ma le probabilità di successo di Bashar al-Hasad possono aumentare solamente con la promessa impegnativa di alcune importanti modifiche costituzionali da realizzarsi entro un periodo di tempo ragionevole. Tutto ciò è plausibile a condizione che qualcuno dall'esterno non soffi sul fuoco nel tentativo di abbattere il regime attuale da sostituire con un governo fantoccio filooccidentale. Il rischio sarebbe infatti quello di creare una situazione incontrollabile come quella dell'Iraq e dell'Afganistan.
27/03/2011